Il modello biopsicosociale vede l’essere umano come frutto delle sue esperienze col corpo, tra emozioni e pensieri, all’interno di un mondo di relazioni (amici, lavoro, famiglia, amore).
In questo articolo capirai come la somma di queste dimensioni sia più importante di ogni singola parte ai fini di una buona diagnosi come di una terapia efficace, soprattutto in patologie degenerative, dolore cronico e sintomi persistenti.
All'interno del post ti parlerò di
Definizione di modello biopsicosociale e storia
ll modello biopsicosociale vede la salute e la malattia come un equilibrio tra ciò che accade nel corpo, nella mente, nei comportamenti e nelle relazioni sociali di una persona.
Le sue tre essenze si trovano nella parola stessa:
1 / Biologia e biomeccanica: fenomeni biochimici e genetici che si manifestano a livello microscopico (ad esempio infiammazione).
3 / Sociologia: relazioni familiari, lavorative, situazione economica, contesto ambientale e culturale
Fu Engel a promuoverlo nel lontanto 1977 per spingere i sistemi sanitari occidentali verso la direzione indicata dall’Organizzazione Mondiale della Salute.
Già nel 1947 l’OMS decise, almeno teoricamente, di abbandonare l’idea che all’origine di ogni malattia ci fosse il corpo (modello biomedico) e definì la salute come l’equilibrio tra benessere e malattia.
In quell’occasione venne riconosciuto il ruolo attivo del malato nel processo di guarigione e l’attenzione si spostò dalla malattia alla persona malata.
Da subito questo modello trovò pronta applicazione nell’inquadramento di tutte quelle condizioni dove l’impatto psicologico e sociale erano più ampi e i quadri misti e variabili nel tempo (dolore cronico).
Il mondo della riabilitazione in ambito ospedaliero promuove questo approccio dal 2001 col modello biopsicosociale ICF.
Ogni fisioterapista dovrebbe già da molti anni considerare, fin dal primo incontro con un paziente, l’impatto che la malattia o il dolore ha sul piano della partecipazione sociale (nel lavoro e nelle Attività della Vita Quotidiana (ADL)).
Tuttavia negli ultimi vent’anni il modello biopsicosociale è stato applicato anche nella valutazione e nel trattamento di patologie meno gravi, ma più diffuse come il mal di schiena (dolore lombare cronico non-specifico).
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Diventa importante sapere come queste tre dimensioni rappresentate dal diagramma interagiscono prima di pianificare l’intervento terapeutico in modo efficace.
La letteratura scientifica spiega quanto sia importante riconoscere i fattori più e saper spiegare al paziente come influiscono sulla sua malattia e la sua guarigione , considerando anche il propri stile di vita.
Come valutare e comprendere i fattori biopsicosociali?
Tipo di dolore
Diventa utile conoscere i meccanismi che provocano dolore o quantomeno identificare e differenziare quelli predominanti: nocicettivo, neuropatico, nociplastico, non-nocicettivo da sensibilizzazione centrale.
APPROFONDISCI LEGGENDO:
Sensibilizzazione centrale
Sensibilizzazione periferica
Dolore nocicettivo
Biomeccanica e patologia medica
Con il il colloquio con il paziente e l’esame fisico vero e proprio l’attenzione si focalizza sulle possibilità di movimento delle articolazioni (mobilità o bilancio articolare), sulla forza (bilancio muscolare), sui test delle tensioni neurodinamiche, sulla coordinazione, l’equilibrio e molto altro.
La ricerca ci spiega però come in seguito a traumi, sforzi o in presenza di dolore la sensibilità sia alterata.
LEGGI ANCHE: Analisi del movimento: quando serve davvero?
Il principale obiettivo in questa fase è capire invece quali siano i movimenti e le attività che provocano il persistere del dolore o la paura di farli: la kinesiofobia.
Sei un professionista?
- Approfondisci l’anamnesi patologica remota
- chiedi se e come mai alcune parti del corpo non vengono usate (diagnosi o terapie precedenti? )
- Valuta abitudini di movimento, postura e schemi di movimento e resistenza allo sforzo per comprendere come agisce il sistema nervoso
Pensieri e percezione
La capacità di elaborare sensazioni, emozioni e pensieri (dimensione cognitiva) influenza il modo in cui il dolore viene avvertito. Il luogo in cui avviene questa integrazione è la cosiddetta neuromatrice del dolore.
Sei un professionista?
1 / Fai domande circa le aspettative dell’intervento, le aspettative nei confronti della prognosi dei propri sintomi, la pianificazione delle strategie per guarire e quali siano i vissuti emotivi.
Emozioni e percezione
Paura di muoversi, percezioni traumatiche del dolore, ansia, stress sul lavoro, in famiglia, motivi economici, socio-culturali possono alterare in modo importante la percezione del dolore e il vissuto di una malattia.
Le emozioni velocizzano e ostacolano la guarigione di una malattia.
Sei un professionista?
- Questionario Stato-Tratti d’ansia (STAI)
- Scala di valutazione per la kinesiofobia: Tampa-Scale (TSK)
- Questionario Esperienze ingiuste (IEQ)
- Questionario dello stato di salute del pazienti (PHQ-2 o PHQ-9) o Scala per lo studio epidemiologico della depressione (CES-D)
Comportamento
Sedentarietà, scarsa attività fisica, riposo forzato e evitare alcuni movimenti sono situazioni che rappresentano la diretta conseguenza di paure (spesso sostenute dagli stessi professionisti).
Nel lungo termine diventano pericolose abitudini che si oppongono al cambiamento e al ricondizionamento: diventano la prima causa del dolore e di disturbi ricorrenti.
Sei un professionista?
Valutare strategie di adattamento e fuga.
Relazioni umane e società
Il contesto ambientale, le amicizie, la famiglia e i colleghi sul lavoro dicono molto riguardo al modo in cui una persona vive una malattia.
All’interno di questa rete ogni persona può giungere a conclusioni dopo ripetuti confronti, che possono aggravare o alleviare il livello di stress generale, ma anche favorire comportamenti sani o meno.
In altri articoli ho descritto come la solitudine aggravi sintomi depressivi e la percezione del dolore
Sei un professionista?
Indaga la qualità delle relazioni e delle abitudini nel contesto lavorativo, affettivo e famigliare.
Motivazione
Il grado di motivazione si fonda sulla comprensione di quali desideri e bisogni spingono verso un percorso di recupero. La strategia per mantenerla viva è la chiave per superare in modo sistematico paure, disabilità e atteggiamenti catastrofisti lungo questo cammino.
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Sei un professionista?
Più professionisti che collaborano: lavoro multidisciplinare
Il modello biopsicosociale stabilisce l’importanza della collaborazione tra differenti professionisti, non divide, come spesso accade gli interventi dei singoli professionisti all’interno delle singole competenze.
Il modello biopsicosociale punta ad una collaborazione trasversale dove il ruolo di un professionista sanitario non prevale sull’altro per mere logiche di potere e dove ognuno è tenuto a comprendere i propri limiti e condividere con gli altri risultati e fallimenti nel rispetto delle aspettative del paziente.
È però frequente osservare che medici, fisioterapisti, infermieri tendono ancora ad identificare prevalentemente “problemi fisici”, mentre psicologi e psichiatri orientano l’attenzione alle disfunzioni intellettive, psicologiche ed emotive, mentre pedagogisti, assistenti sociali, educatori professionali si interessano esclusivamente del contesto sociale.
Ogni professionista usa linguaggi diversi e metodi diversi per descrivere il medesimo stato di salute.
Scrivo questo articolo per aiutare chiunque lo legga ad avere un punto di vista più ampio, critico e consapevole di cosa significhi “affidarsi” a un professionista per stare meglio.
Modello biopsicosociale in riabilitazione e fisioterapia
Il modello biopsicosociale è tornato argomento di grande discussione nel mondo della fisioterepia e viene ora (in teoria) applicato al trattamento di patologie diffuse come il mal di schiena.
Vedo però molti colleghi utilizzare il modello BPS come una sorta di protocollo di trattamento invece di considerarlo come un approccio filosofico alla clinica.
Il motivo credo stia nell’innato desiderio di tradurre concretamente la filosofia in pratica all’interno di un sistema sanitaro con un’impronta fortemente influenzata dal modello biomedico.
Dolore alla schiena > terapia secondo modello BPS > guarigione
Il rischio di utilizzare il modello BPS in questo modo è quello di tornare a credere il corpo come origine di una malattia.
L’essere umano invece è l’ago della bilancia all’interno dell’equilibrio tra malattia e benessere: un ruolo fortemente attivo.
Per molte condizioni guarire non significa annullare il dolore
Non sempre è possibile farlo e la questione va chiarita ancora all’inizio del percorso di recupero per non portare malintesi e turbamenti all’equilibrio psico-fisico del paziente (ad esempio il ricorso precoce o eccessivo a farmaci e chirurgia).
Posso serenamente affermare che molti miei clienti si sentono rinati anche con una modesta riduzione del grado di disabilità indotta da una minima riduzione dei sintomi.
Quando vedo per la prima volta i miei pazienti mi informo per comprendere:
- Come il dolore o la malattia influenza il lavoro e la vita di tutti i giorni?
- Come si vedono tra qualche anno?
- Pensano di tornare a giocare o a fare esercizio fisico?
- Qual è il grado di motivazione che li spinge al cambiamento?
Dolore cronico e modello Bio Psico Sociale
Il modello Biopsicosociale trova maggiore applicazione nell’inquadramento di patologie croniche e dolori persistenti dove le dimensioni psicologica, emotiva e sociale hanno un ruolo più rilevante.
Esistono infatti delle situazioni in cui il riacutizzarsi del dolore cronico non ha una causa facilmente identificabile e puramente meccanica o “biologica”.
Sono quelle situazioni dove le radiografie e i test clinici, funzionali ed ortopedici non danno risultati comprensibili e diagnosi chiare, a differenza di quelli che indagano l’umore, la personalità e la situazione sociale in cui si manifesta il dolore.
Accade di frequente che il dolore non risponda ai farmaci e alle terapie secondo le aspettative ed il motivo risiede sia nella naturale progressione della malattia legata concretamente a effetti biologici (infiammazione) sia nell’atteggiamento di evitamento provocato dalla paura di sentire il male.
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In molte occasioni il riposo diventa la prima e più immediata strategia, ma finisce per rivelarsi un modo di evitare il dolore. In questa situazione il riposo diventa esso stesso l’origine di rigidità, debolezza e del peggioramento dei sintomi.
Molte volte si fugge la riacutizzazione del dolore pensando che il dolore sia provocato da un peggioramento di una lesione, mentre…
Il dolore intenso non ha lo stesso significato del termine medico ”dolore acuto”
Il dolore acuto infatti può essere definito come la normale risposta ad uno stimolo chimico, termico o meccanico (ad esempio, trauma, malattia o chirurgia).
Il dolore cronico invece comprende nella sua definizione delle “picchi naturali del dolore” (riacutizzazioni).
Il termine medico dolore cronico definisce solo che il sintomi (le riacutizzazioni) si ripresentano per più di 3-6 mesi con una frequenza e costanza diversa dal solito.
Non indica per nessun motivo che non si possa stare meglio e vivere una normale esistenza senza limitazioni.
Questa conclusione è esclusivamente assegnata a convinzioni che derivano da esperienze precedenti, educazioni, cultura, luoghi comuni, disinformazione e false convinzioni date dagli stessi professionisti sanitari (yellow flag).
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In sintesi
In parole semplici la vita è un gioco: più ti metti in discussione e più velocemente cresci.
Il sistema nervoso si adatta ad ogni ostacolo o errore: quanto più ci si concentra ad evitare queste situazioni quanto prima il sistema diventa sensibile.
A dispetto di convinzioni comuni, molto diffuse tra pazienti e professionisti sanitari, la malattia e il dolore non sono il baricentro della salute.
La maggior parte delle malattie si manifesta con quadri misti che non si possono osservare mai esclusivamente attraverso la misurazione di singoli aspetti.
Quando i sintomi si presentano in modo ricorrente e persistente il modo di trovare un nuovo equilibrio è quello di NON AFFIDARSI A SOLUZIONI COMODE che agiscono su una singola dimensione.
Vale la pena ricordare che le redini dell’equilibrio sono nelle mani della singola persona… non del professionista ?
Ognuno ha il diritto di ricevere delle informazioni adeguate dai professionisti a cui chiede consulenza in modo da avere una valutazione più ampia di come la malattia e comportamenti poco salutari ostacolino il benessere.
La strada del recupero non si trova nella dipendenza dal terapista o dal medico di riferimento (atteggiamento proattivo).
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Riferimenti bibliografici
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