Come spiegare il dolore con la pain education

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9 suggerimenti per spiegare il dolore efficacemente secondo la pain education

Spiegare il dolore a un paziente è fondamentale. Ogni terapista ha il compito di apprendere questa capacità: modifica il metodo di lavoro, favorisce l’alleanza terapeutica e velocizza i processi di guarigione.

Spiegare il dolore è il primo passo verso la guarigione

La spiegazione dell’origine di un dolore è una delle prime richieste di un paziente all’inizio di un programma riabilitativo o di un intervento terapeutico in genere. È un prezioso momento che rafforza l’alleanza terapeutica tra paziente e terapista. Putroppo non esiste una ricetta perfetta.

Dal canto loro le persone cercano risposte concrete e sono poco inclini ad accettare spiegazioni nebulose. Così, fornire una spiegazione convincente a disturbi rimasti irrisolti e incompresi nonostante numerosi esami e visite specialistiche diviene un obiettivo primario per ogni terapista.

Le aspettative del paziente

In teoria ogni terapista è in grado di spiegare efficacemente al paziente perché sente male, ma la pratica clinica è dominata da situazioni contingenti ed emozioni. Non è sempre così immediato riuscirci.

Faccio un esempio concreto: oltre il 90% dei pazienti con una diagnosi di lombalgia cronica si sottopone a visite e indagini diagnostiche. Ognuno di loro nutre precise aspettative nei confronti dei professionisti a cui si affidano.

Si aspetta da loro rassicurazioni, consigli e spiegazioni chiare sulla diagnosi e la cura dei propri sintomi: tutte queste aspettative influenzano la guarigione, come puoi leggere in questo studio canadese.

Dolore aspecifico: le variabili in gioco

Alle aspettative del paziente si sovrappongono variabili altrettanto importanti, come l’eventualità di una diagnosi di un dolore originato da una causa non ben definita. Cosa facciamo in questo caso? Come gestiamo le aspettative, l’interpretazione dei sintomi e le tempistiche di guarigione?

A

Nel 90% delle lombalgie risulta ad esempio essere senza una causa specifica. Si capisce come l’incertezza diventi un fattore rilevante in una diagnosi frequente sia per il paziente sia per il terapista. Lo spiega anche M.H. Mishel in lingua inglese parlando di Teoria dell’incertezza della malattia.

B

Diversamente L.J. Carroll chiede a dei pazienti pazienti con dolori muscolo-scheletrici come pensano di guarire, indagando cosa significhi per loro. La sua ricerca mette in discussione l’intero processo diagnostico, le inevitabili incertezze che ne derivano ed il loro effetto sulle aspettative di recupero.

C

Nel suo Topical issues in painLouis Gifford – il fisioterapista che più ha influenzato il pensiero dei clinici e dei ricercatori che studiano il dolore – racconta l’aneddoto del paziente che, grazie ad un colloquio col suo terapista, realizza il vero significato del dolore che stava vivendo e dopo una breve chiacchierata, ritrova il coraggio di correre in bici dopo 5 anni di stop. -Non è nulla di cui preoccuparsi? Allora posso provarci!-

Tra chiedere “come pensi di guarire” e affermare che “il dolore non esiste” c’è però una grande differenza.

Pain education: come si spiega il dolore?

Una lezione di anatomia e neurobiologia, o una dettagliata analisi biomeccanica del movimento, non risolve di certo il dolore dei pazienti. Anzi, potrebbe persino essere controproducente.

Certo, per alcuni pazienti risulta utile entrare nel dettaglio, ma nessuno di loro trae realmente sollievo da queste spiegazioni.

Bisogna evitare spiegazioni scientifiche complesse.

Ecco 9 suggerimenti per spiegare efficacemente il dolore al paziente secondo la pain education:

1. Semplifica la spiegazione generale

Semplificare i termini dei referti della risonanza magnetica ha un effetto positivo ed è consigliabile farlo anche per spiegare il dolore.

Non usare VOMITevoli termini tecnici (acronimo derivato da Victim Of Medical Imaging Technology). Spiega la situazione al paziente in modo semplice e personalizzato, usando parole ed esempi di linguaggio comune.

A proposito: clicca su VOMIT per approfondire questo argomento attraverso un’infografica in lingua inglese.

2. Ascolta attentamente il paziente

L’ascolto è cruciale. Come puoi spiegare il dolore senza ascoltare chi ne soffre? L’ascolto è terapia.

Prova a pensare a quante volte interrompi il paziente mentre parla; a quante guardi l’orologio perché sei in ritardo o distogli lo sguardo per appuntare in cartella ciò che ti sta raccontando.

Il paziente si sente accolto e compreso quando viene ascoltato: è da qui che nasce una solida alleanza terapeutica.

L’alleanza terapeutica è vitale: spinge il paziente a comprendere e seguire con maggior fiducia ogni tua indicazione futura.

3. Conferma di aver compreso il dolore

Quando il dolore non ha spiegazioni dal punto di vista medico o addirittura non è risolvibile, il paziente teme di non farcela e tende ad esagerare.

Il suo dolore è reale: difficile da esprimere a parole. Attraverso il suo racconto capirai come sta vivendo e reagendo a quello che sente..

Per ogni paziente la conferma da parte del terapista di essersi spiegati a dovere è importante: alcuni pazienti ritengono che l’ascolto e la conferma delle proprie esperienze siano tappe fondamentali nel percorso di guarigione.

4. Personalizza la comunicazione

Per spiegare il dolore al paziente è necessario usare lo stesso linguaggio.

Utilizzare il suo vissuto per fornirgli esempi concreti legati alle sue esperienze ed alla sua storia personale. In questo modo faciliti la comprensione dei concetti che intendi trasmettere.

Ma per giungere a questo livello devi ascoltare. Senza l’ascolto faticherai a raccogliere informazioni ed esempi da utilizzare.

5. Chiedi il consenso

Prima di inondare i tuoi inermi pazienti di spiegazioni entusiasmanti e appassionate chiedi loro se vogliono essere illuminati dalle tue conoscenze.

Te lo offro come consiglio personale, facevo così anche io: appena uscito dall’università, terminato un master o dopo aver letto un paper interessante non vedevo l’ora di condividere tutto con i miei pazienti. 

L’obiettivo rimane aiutare il processo di guarigione non ipnotizzare i pazienti 🙂 Per questo sono gli stessi divulgatori della pain education che suggeriscono di utilizzare questa tecnica solo quando è richiesta!

6. Vivi la terapia come scambio reciproco

Il vissuto del paziente è prezioso per entrambe. La condivisione di esperienze personali e conoscenze sarà un’esperienza educativa per entrambi. 

Non sei nella situazione in cui il maestro parla al discepolo, ma in un’ottica di scambio reciproco, lontano dal giudizio, condizione indispensabile per spiegare o stimolare (da parte tua) e comprendere o esperire (da parte del paziente) una nuova percezione del dolore.

7. Applica concretamente la pain education

Inserisci la pain education all’interno di un piano di cura e mostra in maniera pratica al paziente quello che intendi. Non limitarti alle parole, perché a volte non sono sufficienti a scardinare i suoi dubbi.

Se il paziente pensa “non mi muovo per non peggiorare” oppure “evito di far quel movimento per non sentire male”, usa la pain education per modificare le modalità usate per reagire al dolore: aiutalo a superare le sue paure e fagli toccare con mano la possibilità di cambiare.

La spiegazione del dolore non deve rimanere fine a sè stessa, ma diventare funzionale alla guarigione; deve concorrere, quanto terapia ed esercizi, a motivare, sostenere e guarire il paziente.

8. Verifica che il paziente ti abbia capito

Quando spieghi il dolore al paziente sii chiaro e conciso.

Evita termini medici complicati e soprattutto adatta la comunicazione al livello culturale di chi ti sta di fronte. Infine, chiedi al tuo paziente cosa ha compreso!

Ha capito poco e male? Facilmente hai comunicato nel modo sbagliato! Rispiega con altre parole o esperienze personali e al termine chiedi nuovamente conferma.

Il modo in cui il paziente interpreta le tue spiegazioni è uno degli indici del tuo successo come terapista.

9. Poni domande che spingano a riflettere

Come terapista è importante che tu sappia fornire risposte; ma a volte serve porre domande che facciano riflettere il paziente, che lo portino a gestire in modo più critico i pensieri riguardo al dolore che prova.

Immagina che un paziente abbia paura di muoversi dopo una diagnosi di protrusione. Puoi informarlo che spesso non esiste correlazione netta tra il dolore e l’ernia in sè. Nel caso i suoi sintomi non fossero sempre presenti sarà ancor più imporbabile che il dolore abbia a che fare con quella diagnosi.

Naturalmente qualcuno troverà rassicurante tale spiegazione. Altri meno. Del resto sta a te decidere quando questa tecnica può essere efficace o no: tutto dipende dal paziente che hai davanti e da come, e quanto, hai saputo ascoltarlo.

In sintesi

Se come terapista riesci a spiegare efficacemente il dolore al paziente hai migliori probabilità di risolvere il suo problema.

Non lasciare però che la pain education rimanga una tecnica fine a sè stessa: rendila funzionale alla guarigione. Deve concorrere al risultato finale come gli esercizi terapeutici ed gli altri trattamenti.

Calando la pain education nel concreto potrai cambiare il modo in cui il paziente reagisce al dolore; potrai mostrargli nei fatti come mutando prospettiva possa superarlo.

In questo modo costruirai una solida alleanza terapeutica che renderà il paziente fiducioso e pronto ad accogliere le tue future indicazioni per accelerare il processo di guarigione.

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Michele Chiesa

Fisioterapista Osteopata - Aiuto a curare dolori ed effetti dello stress; superare limiti, ridurre l'uso di farmaci e interventi chirurgici.

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