6 motivi per conoscere i FATTORI PSICOSOCIALI

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Fattori psicosociali…ti ricordano qualcosa?!

Mille tecniche, mille week-end lontani da casa, migliaia di euro spesi…e quel permanente senso di frustrazione di non avere o essere abbastanza. Una certezza però: prima o poi ti iscriverai ad un’altro corso 🙂

Nessun problema: sei in buona compagnia!

Perché? Siamo tutti intenti a dissipare risorse, energia e tempo nello studio di tecniche e approcci orientati a modificare il corpo dei nostri pazienti.

Quante ne dedichi a tutto tutto ciò che condiziona il suo funzionamento, nel bene e nel male?

Da 30 anni parliamo di “fattori psicosociali”. Il loro ruolo nella gestione dei pazienti con dolore cronico si è chiarito nel tempo.

Qualche numero sul dolore cronico per dimensionare l’argomento:

in Italia il dolore muscolo-schelettrico cronico riguarda il 26% della popolazione con punte del 74% se consideriamo la fascia d’età 60-80 anni (GUIDA, 2016).

2,3% la quota di PIL utilizzata

1400€ i costi annuali diretti per persona (farmaci, ricoveri, diagnostica a carico del SSN)

4557€/anno i costi indiretti per persona (stima di giornate lavorative perse, interruzioni del lavoro e assistenza familiare)

La prospettiva per il futuro è di crescita…ma questa volta non è un fattore positivo 😉

Chi sono e a che titolo parlo di dolore cronico?

Son un fisioterapista e dopo la laurea ho collezionato master, diplomi (anche da osteopata) e stemmi da università e provider di formazione. L’ho sempre fatto più per etica professionale che per obblighi formativi.

Lavorando a stretto contatto con situazioni di grave disabilità e sofferenza, per terapie e per percorsi terapeutici molto lunghi, fin dai primi anni ho sempre creduto che non fosse sufficiente un pezzo di carta e due mani. Comunicare, saper cambiare, superare il limite…son sempre stati argomenti cari e infinitamente ampi.

Ho lavorato in clinica, poliambulatori, ambulatori e studi professionali; privatamente o in convenzione col Sistema Sanitario Nazionale. Tutti i giorni collaboro e discuto con medici e professionisti sanitari.

Non mi nascondo dietro ad un dito, esistono eccezioni, ma posso tranquillamente affermare che esiste uno schema comune.

Il paziente troppo spesso diventa un numero, mentre il “suo corpo” viene indagato, valutato e ad esso viene somministrata una terapia.

I fattori psicosociali vengono considerati in modo molto limitato e spesso casuale. La loro gestione in ambito sanitario è ostacolata da una logistica complessa e obiettivi economici prioritari.

Eppure tutti i professionisti sanitari imparano ancora in Università a considerare l’unione tra corpo, mente e psiche. La genetica dal primo anno insegna come l’essere umano sia influenzato dall’ambiente esterno…molto prima della crescita del corpo e dello sviluppo cognitivo ed emotivo.

Ma concretamente come si riflette nella pratica di tutti i giorni? (Cruz et al. 2012, Synnott et al. 2015)

Fattori psicosociali e fisioterapia

Zangoni e Thomson (2017) hanno studiato un piccolo campione di fisioterapisti italiani per testare come le convinzioni personali e la conoscenza del modello biopsicosociale potessero influenzare la valutazione ed il trattamento di pazienti con CLBP (lombalgia cronica).

Al netto di analisi metodologiche e statistiche, i fisioterapisti intervistati hanno mostrato sostanzialmente una sommaria conoscenza del modello biopsicosociale.

Il riconoscimento dei fattori sociali, cognitivi, emotivi e psicologici e di quanto essi siano coinvolti nella CLBP è risultato essere solo parziale.

In modo analogo si sono riscontrate criticità nella comprensione di quanto il ruolo del terapista potesse influire in termini di riduzione di dolore e disabilità del paziente.

In definitiva i fisioterapisti intervistati hanno evidenziato limiti sia in fase valutativa che terapeutica. In qualche caso hanno avuto anche qualche difficoltà a superarli.

È facile capire come una formazione scarsa nel riconoscere i fattori psicosociali possa riflettersi sulle performance terapeutiche, sul raggiungimento degli obiettivi a lungo termine e sulla soddisfazione del cliente con CLBP.

I fattori psicosociali vengono descritti come quella combinazione tra stato sociale, emotivo e cognitivo capace di influire sullo stato di salute (Singla, 2015).  Essi interagiscono e dipendono dalle barriere esistenti tra la persona e l’ambiente che lo circonda (Waddel-Burton, 2001).

Tra di essi troviamo (Kendall 1999, Overmeer 2004, Innes 2005, Sanders 1992)

  • la convinzione che il dolore e l’attività siano dannosi
  • comportamenti negativi come l’eccessivo riposo
  • umore depresso
  • isolamento sociale
  • problemi lavorativi
  • mancanza di supporto sociale
  • iperprotettività famigliare
  • patologie fisiche differenti
  • personalità caratteristiche

Più banalmente possiamo distinguerli in due gruppi: di natura lavorativa (insoddisfazione, precarietà, stress, ecc.) e personale (depressione, insoddisfazione, relazioni umane povere, ecc).

I pazienti caratterizzati da questi fattori sviluppano più facilmente sindromi dolorose croniche (Ramond et al. 2010). Per questo sono fondamentali nel processo di recupero di pazienti con lombalgia cronica (Andersson 1999, Wand and O’Connell 2008).

Sia le linee guida italiane che quelle inglesi, del passato e del più recente futuro (Negrini et al. 2004, NICE 2016), continuano a suggerire l’adozione del modello biopsicosociale, in aggiunta a quello biomedico, durante la valutazione e la gestione di pazienti con CLBP.

Il modello biopsicosociale vede l’esperienza dolorosa e il suo impatto sull’individuo come l’interazione tra processi neurologici, psicologici e ambientali (Blyth, 2007).

La valutazione di depressione, ansia, paura e fattori di stress rientrano quindi nella valutazione dei rischi quando si parla di dolore cronico (NICE, 2016).

Nonostante ciò le professioni sanitarie continuano ad operare utilizzando in modo predominante il modello biomeccanico-biomedico, piuttosto che dare spazio alla dimensione sociale ed alla prospettiva fenomenologica (Marcum 2005, Nicholls&Gibson 2010).

Questa ostinata visione bio-meccanicista (Clqys, 2007) risulta essere in profondo contrasto con i risultati e i livelli di soddisfazione dei pazienti ottenuti con l’approccio psicosociale (Shaw, 2009; Hall, 2010).

La letteratura scientifica mostra chiaramente come i professionisti sanitari dovrebbero acquisire maggiori competenze ed una migliore comprensione nella valutazione dei fattori psicosociali (Pincus et al. 2002, Overmeer et al.2004, Parsons et al. 2007, Singla et al. 2015).

Sia in Gran Bretagna (HCPC 2013), che in Australia (APC 2017), in Nuova Zelanda (PBNZ 2015) ed in Italia (AIFi 2010) viene riconosciuto ai fisioterapisti il ruolo di valutare questi fattori in patologie e sindromi dolorose.

Nonostante ciò non esistono standard di riferimento in termini di curriculum universitario e formazione post-laurea.

La situazione in Italia assume un gap ancor più rilevante: i fisioterapisti attendono la creazione dell’ordine professionale previsto dalla legge da più di vent’anni.

Il curriculum di laurea in fisioterapia risulta tra i più brevi del Mondo e d’Europa.

I fisioterapisti in Italia non godono dell’autonomia professionale valutativa e prescrittiva dei colleghi della maggior parte dei Paesi Sviluppati

Senza Ordine Professionale non esiste un controllo della qualità professionale della categoria.

Con una laurea triennale non è possibile avere le stesse conoscenze e competenze dei colleghi stranieri.

Senza autonomia professionale non è chiaro quale sia la figura del team riabilitativo che effettua concretamente questa valutazione.

Sebbene ci siano mille giustificazioni per lo scarso interesse nell’applicazione del modello biopsicosociale…rimangono i numeri e le indicazioni della letteratura scientifica e delle linee guida.

Cosa puoi fare?

Io ho iniziato a farmi qualche domanda.

  • Cosa ne so delle cause del dolore cronico?
  • A cosa serve concretamente saper valutare i fattori psicosociali?
  • So farlo in modo consapevole? È la strategia più efficace?
  • Penso davvero di ottenere risultati diversi facendolo?
  • Lo faccio sempre ? Cosa mi trattiene dal non farlo?
  • Mi è tutto chiaro o sento che qualcosa mi sfugge? Come posso riconoscerlo?

Ti confesso un segreto: ad alcune domande non sapevo cosa rispondere 😉 Così ho iniziato a cercare informazioni e leggere.

Leggere da molte soddisfazioni…

È un modo più economico per imparare. Da un lato serve tempo per farlo, dall’altro, ti aiuta a risparmiarne altrettanto 😉

È un modo per confrontarti con la comunità  scientifica e i dati reali: basta accendere un computer per uscire dal tuo studio.

È un modo per capire chi vede le cose come te.

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Michele Chiesa

Fisioterapista Osteopata - Aiuto a curare dolori ed effetti dello stress; superare limiti, ridurre l'uso di farmaci e interventi chirurgici.

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